martedì 5 luglio 2011

e io pago!

 
Meno male che c’è Totò a strapparci una risata, ché ci sarebbe ben poco da ridere...Negli ultimi giorni stiamo assistendo all’ennesimo balletto di dichiarazioni e proposte, più o meno sensate, intorno alla nuova finanziaria. Il tema è semplice quanto spinoso da affrontare, le casse dello Stato sono sempre più vuote, la ripresa stenta a decollare, l’Europa ci sorveglia preoccupata, perciò è necessario stringere la cinghia. La spesa pubblica deve diminuire e le entrate devono aumentare.
Fin qui nulla di strano. Ai già delicati conti economici italiani è stato inferto un altro colpo dalla crisi globale, quindi è tempo di risanare. La necessità è ineccepibile e basta leggere le pagine di cronaca estera per avere una raffigurazione di quali sarebbero gli scenari per un paese sull’orlo del fallimento…
Orbene, rimbocchiamoci tutti le maniche, rinunciamo al superfluo e cerchiamo di risparmiare qualcosa! Questo sarebbe un messaggio intelligente, concreto, facile da capire e potrebbe essere applicato da tutti gli italiani, ovviamente a secondo delle loro possibilità economiche, perché se già uno arriva a stento alla fine del mese, è evidente che ha ben poco su cui intervenire. Invece il messaggio che passa dalla somma dei nuovi provvedimenti economici previsti, è di natura leggermente differente…della serie i privilegiati manterranno i loro privilegi e i poveri cristi manterranno i loro guai.
Prima di continuare con la mia critica, vorrei però riportare dei fatti oggettivi, così da rendere il mio discorso più comprensibile. Ecco a voi i nuovi rincari che stanno per arrivare:

- superbollo oltre i 225kw di potenza
- nuove accise di 5 euro cent per l’emergenza immigrati (già in vigore)
- nuova accisa di 3 euro cent per la cultura (non ancora in vigore)
- nuovi parametri per l’IPT
- rincaro del 3,5% delle tasse comunali sulle assicurazioni

La somma di questi rincari ci dice che possedere e mantenere un’auto diventerà sempre più oneroso, per tutti. L’eventuale nuovo superbollo colpirebbe le auto oltre i 300cv, cioè una minoranza; mentre le accise colpiscono tutti gli automobilisti, così come le tasse sulle assicurazioni e l’aumento dell’IPT. Verrebbe da pensare che si voglia scoraggiare l’uso dell’auto, peccato che in Italia il trasporto pubblico sia, per usare un eufemismo, inadeguato. E allora che cosa viene da pensare? Viene da pensare che quando c’è da fare cassa è molto facile colpire chi non ha alternative. Infatti, oltre gli automobilisti, i nuovi provvedimenti colpiscono anche la sanità pubblica e uno non è che può scegliere di non stare male, se sta male. Tra l’altro non si capisce perché debba pagare l’emergenza immigrati e la cultura, solo chi guida un auto, una moto o un motorino. Chi va a piedi, in bici, in pullman o in skateboard forse non è un cittadino come gli altri?
Ma la cosa che dà maggiormente fastidio è apprendere come sia difficile rinunciare a qualche privilegio per tutte quelle persone che ne hanno in abbondanza, come ad esempio il povero On. Rotondi che ci fa sapere come sia difficile vivere con QUATTROMILA euro al mese(http://letteraviola.it/2011/06/i-parlamentari-sono-alla-fame-rotondi-pdl-ci-restano-in-tasca-solo-4000-euro/), uno stipendio che la maggior parte degli italiani può solo sognarsi di notte. BRUUUM!!!

martedì 28 giugno 2011

Fix It Again Tony!

“Riparala ancora Tony!”. Questa è la traduzione dall’american english del titolo del post, le cui iniziali sono esattamente FIAT. No, non è uno scherzo… Ecco a voi la frase più comune sul marchio torinese che potrete sentire ancora oggi recandovi in Nord America. Vi sembra strano? Stacchiamoci per un attimo dal presente, dall’acquisto e dalla rigenerazione del marchio Chrysler, dalle lodi di Barack Obama e dai maglioncini di Sergio Marchionne. Torniamo agli anni ottanta, esattamente al 1983, quando la FIAT scappò a gambe levate dagli USA, avendo bruciato quel po’ di buona reputazione che si era faticosamente costruita nei due decenni precedenti. A causa di gravi carenze qualitative dei prodotti (ruggine) e di una rete di dealer male organizzata e impreparata, anche autovetture di successo come la 124 Spider e la X1/9 venivano affossate. Proprio quest’ultima fu esportata oltreoceano fino al 1989, prodotta però dalla Bertone con un nuovo processo di verniciatura che eliminava il problema della corrosione. Non so quanti di voi conoscano quest’auto; probabilmente rimarrete basiti nel sapere che la X1/9 è a tutt’oggi la FIAT più venduta in USA. 
Ma si sa che i pregiudizi negativi sono i più duri a morire, quindi, nonostante siano passati quasi trent’anni, bisogna riconoscere il coraggio del Lingotto nel volere “riscoprire” l’America. Sebbene la 500 sia l’auto più adatta per questo scopo, va detto che sono stati fatti dei grossi sforzi sia per adattarla alle norme statunitensi che per ricreare da zero la rete di dealer, ma anche per farla conoscere ad un pubblico abituato a tutt’altro genere di auto… più grandi, più spaziose, più pesanti, come la Dodge Journey per esempio! Questa crossover di quasi 5 metri, venduta in Italia (col contagocce) dal 2008, ha sacrificato la sua identità e parte dei suoi “organi” per trasformarsi nella Fiat Freemont.
La prima torinese con accento americano è appena nata e fa subito discutere. Alle solite diatribe sui forum di appassionati si è aggiunta la carta stampata. Molti quotidiani ne hanno magnificato le doti e alcuni altri l’hanno sminuita con cattiveria (e una punta di qualunquismo) inventando paragoni impossibili e adducendo argomentazioni poco circostanziate e discutibili (vero Luca Telese?). Io, con grande umiltà, vorrei ristabilire un po’ di equilibrio. Penso che la Freemont sia il frutto di una idea non disprezzabile: migliorare con poca spesa un prodotto buono ma poco conosciuto, iniziando a frequentare un segmento di mercato altrimenti ignoto e proponendolo ad un prezzo molto concorrenziale. L’operazione mi sembra intelligente; forse sbaglierò, ma credo che la Freemont avrà un buon successo e che getterà le basi per le prossime Fiat-Chrysler progettate globalmente, che vedremo tra un anno o due. Nessuno sa come andrà il futuro, ma sarebbe bello che al di là dell’oceano imparassero che FIAT vuole dire Fabbrica Italiana Automobili Torino e che in terra italica tornassimo ad essere orgogliosi delle nostre auto…BRUUUM!!!!

venerdì 10 giugno 2011

Il Cavallino è sempre più rampante

In un Paese come il nostro, dove le divisioni sono continue e le fazioni si creano anche in un’ assemblea condominiale, sono poche le cose che uniscono e che ci fanno sentire orgogliosi  di essere italiani. Una di queste è la Ferrari. E non serve essere appassionati di auto o frequentatori di circuiti per sapere di che cosa si tratta. In Italia la Ferrari è la sola e l’unica. È l’auto da sogno per eccellenza. Qualunque modello incontriate per strada catalizzerà l’attenzione di tutti i presenti. Mamme, bambini, manager e netturbini; ogni passante distratto e immerso nei suoi pensieri non potrà fare a meno di buttare almeno uno sguardo su quelle linee scolpite dalla velocità e su quel rosso infuocato che si stacca dal panorama circostante. E immancabilmente un ragazzino chiederà al guidatore di dare una sgasata e tenderà l’orecchio verso gli scarichi…(ogni riferimento all’infanzia del blogger è puramente casuale). 
Giunta al sessantaquattresimo anno di vita, la Ferrari S.p.A. è una azienda d’eccellenza. Le auto che produce fanno sognare sempre di più e le liste di attesa per averne una sono lunghissime. Anche in Formula 1, nonostante sia finita “l’era Schumacher”, le monoposto emiliane sono sempre in lotta per le prime posizioni. Se il grande Enzo Ferrari potesse vedere oggi la sua creatura, sarebbe sicuramente orgoglioso di come è cresciuta anche senza di lui. Fu proprio lui a intuire per primo, negli anni cinquanta, che produrre auto stradali avrebbe garantito lunga vita alla sua scuderia. I gentlemen driver, acquistandole e facendole gareggiare nelle corse di tutto il mondo, ma anche sfoggiandole nelle località più esclusive, avrebbero portato notorietà al marchio e garantito introiti all’azienda. Alcune tra le Ferrari più belle di sempre sono state prodotte negli anni cinquanta e sessanta. Vetture grazie alle quali è nato il mito del Cavallino Rampante, accresciuto poi dalle vittorie sportive e sempre rinnovato da auto stradali fantastiche, come la 365 GTB/4 Daytona, la GTO, la Testarossa e la F40. Proprio l’auto che porta nel suo nome la celebrazione dei primi 40 anni della factory modenese, fu anche l’ultima che il Drake vide nascere. Dopo la sua scomparsa ci fu qualche anno non esaltante per la Ferrari, che dovette riorganizzare tanto l’azienda quanto il reparto corse, orfani del loro padre-padrone. 
Gli anni novanta hanno visto il Cavallino rampare con rinnovata forza. Il ritorno alla lotta per le posizioni di vertice in Formula 1 e la produzione di auto eccellenti come la 550 Maranello o la 360 Modena hanno fatto si che l’azienda entrasse negli anni duemila con tutti i mezzi per affrontare le nuove sfide e sviluppare le nuove tecnologie. Il settore delle auto sportive è sempre più popolato da concorrenti agguerrite, ma la Ferrari guarda tutti dallo specchietto retrovisore. La F430 e la 599GTB Fiorano non temono alcun confronto, mentre le nuovissime 458 Italia e FF hanno ulteriormente alzato il livello tecnologico, la prima con prestazioni sensazionali e con un utilizzo dell’elettronica secondo solo a quello delle Formula 1, la seconda è invece la prima Ferrari della storia a trazione integrale, ottenuta con un sistema brevettato e unico al mondo.
Ora il Cavallino è in testa alla corsa, inseguito da una moltitudine di equini di diversa provenienza, prima di tutti la cavallina di Stoccarda…A proposito, vi siete mai chiesti perché lo stemma della Ferrari sia proprio un cavallino? No? Vabbè, qui sotto vi metto un indizio… BRUUUM!


martedì 31 maggio 2011

Incredibile romantico

Non me ne voglia Vasco Rossi per questa citazione spuria di una delle sue canzoni più belle, ma non trovo miglior modo di definirmi quando, in ambito automobilistico, si paragonano la modernità e il passato. Il “circus” della Formula 1 ha appena lasciato il Principato di Monaco, dopo aver dato spettacolo come ogni anno. Il circuito di Montecarlo è famoso in tutto il mondo per le sue peculiarità: è infatti un tracciato cittadino, ovvero ricavato sulle strade di tutti i giorni che vengono chiuse al traffico per l’occasione. Queste particolari piste temporanee sono più diffuse di quanto non si creda, sia in Europa che oltreoceano, ma il fascino del circuito monegasco è inarrivabile. L’esclusività e la bellezza del luogo, la vicinanza del mare e le monoposto che passano accanto al porto pieno di barche da sogno, la presenza di tantissimi V.I.P. e della Famiglia Reale ne fanno l’appuntamento motoristico più glamour della stagione. Allo stesso tempo l’alto tasso tecnico richiesto dal tracciato, pone di diritto ogni vincitore nell’olimpo dei migliori piloti. Non a caso, se osserviamo la top five dei corridori che qui hanno vinto di più, troviamo mostri sacri come Prost, Schumacher, Graham Hill, Moss, Stewart e Ayrton Senna. Ed è proprio il compianto e campione brasiliano a detenere il record di vittorie, ben sei!
Il GP di Monaco è uno dei più antichi, la prima edizione risale al 1929. Sulle strade del Principato si sono sfidati tutti i piloti più forti di sempre, scrivendo pagine indelebili nella storia dell’automobilismo. Se pensiamo all’evoluzione delle auto da corsa ci rendiamo subito conto che i driver dell’anteguerra erano dei veri e propri eroi, alle prese con vetture instabili e potentissime, senza dotazione di sicurezza alcuna. Ma ogni onore va riconosciuto anche ai piloti degli anni 60 e 70, veri e propri artisti della guida conservativa, vista la scarsa durata dei freni dell’epoca (e le potenze sempre più alte). Tuttavia il mio cuore sportivo sarà sempre proprietà esclusiva di quella generazione di “domatori” che ha infiammato le piste di tutto il mondo negli anni 80 e nei primi 90. Ragazzi con i nervi d’acciaio e una sensibilità di guida infinita, veri e propri “manici” che portavano al limite monoposto da oltre 1000CV, caratterizzate da una aerodinamica grezza, dal cambio manuale e del tutto prive di controlli elettronici. Le emozioni erano garantite!
A guardare la F1 di oggi, costretta a continui cambi di regolamento e a trucchetti da videogioco (kers e ali mobili) per ritrovare quella spettacolarità andata perduta negli anni delle esasperazioni aerodinamiche ed elettroniche, viene un po’ di malinconia. E a guardare i camera car di Vettel e Alonso, che governano l’auto con pochi movimenti delle braccia, viene un po’ di nostaglia… Come fare per farsela passare? Eh…non è semplice, però, magari, questo video scalderà il cuore di voi tutti, veri appassionati di auto e di piloti. BRUUUM! 


giovedì 19 maggio 2011

Fabbricare auto o raccontare storie?

Come è lontano il 1961. Sono passati 50 anni esatti da una delle più famose edizioni del Salone dell’automobile di Ginevra. Tutti gli appassionati se la ricordano  per la presentazione di una delle automobili più belle di sempre, la Jaguar E-Type. Una coupé così meravigliosa che anche il leggendario Enzo Ferrari si produsse in un pubblico elogio, proprio lui che non aveva mai parlato di un’ auto che non portasse il suo nome. L’assemblaggio del primo esemplare, destinato al salone, fu completato sul filo di lana e un collaudatore viaggiò per tutta la notte, da Coventry a Ginevra, per consegnarlo in tempo. La E-Type concentrò su di se tutti gli sguardi;  giornalisti, amatori, curiosi, tutti ammiravano la sua linea prestante e allo stesso tempo elegantissima.  Ferrari aveva portato in Svizzera la sua ultima creatura, la 250 GT California Spyder, un’auto destinata a diventare una icona del jet-set internazionale. Rendendosi conto che l’interesse del pubblico era tutta concentrato sulla Jaguar, il Drake temporeggiò e fece esporre la Spyder solo l’ultimo giorno del salone, riuscendo, grazie all’effetto sorpresa, a darle tutta l’attenzione che meritava.
Negli anni sessanta il marketing non era ancora entrato prepotentemente nelle case automobilistiche, erano tecnici e ingegneri a comandare. Tutte le risorse intellettuali erano impiegate sul prodotto. L’aspetto estetico di un’ auto era espressione della meccanica e della dinamica. La mission di costruttori come Ferrari o Jaguar era di creare l’auto sportiva più bella e veloce, e in un mercato in cui non esisteva la concorrenza spietata dei giorni nostri, era (relativamente) facile stupire il pubblico.

Il mercato degli anni duemila è ben diverso. Le case automobilistiche sono tante e vengono da ogni parte del mondo. Nel segmento delle piccole auto l’offerta è talmente vasta e i margini di guadagno sono così risicati che tutti i costruttori usano lo stesso schema meccanico e alcuni sviluppano telai e motori insieme per poi utilizzarli su vetture dal marchio differente, differenziandole con la linea della carrozzeria. Ma anche nel settore delle supercar, dove il prezzo conta relativamente e la tecnica è al centro della scena, la concorrenza è serrata. Sembra che creare l’auto più bella, leggera e potente non basti più. Con le moderne tecnologie di progettazione è molto più facile di un tempo raggiungere un alto livello. Così i marchi che possono contare su un’alta reputazione tentano di conservarla e di innalzarla ancora di più, mentre quelli meno nobili ribattono a suon di prestazioni formidabili. Pensate a quante sportive sopra i 500cv si possono comprare. Potenze che fino a pochi anni fa erano appannaggio di due o tre case automobilistiche, adesso sono disponibili anche su berline e station wagon. E quale è il modo per differenziare una supercar da una station wagon? Disseminare piccoli particolari e dati tecnici della vettura qualche mese prima del lancio, far comparire la foto di un faro o di un passaruota, dichiarare un tempo sul giro al Nürburgring o addirittura diffondere su internet una foto “rubata”, per far scatenare i siti e i forum di appassionati…insomma, raccontare la nascita di un auto come fosse una storia avvincente. Sarà questa la strada giusta? Staremo a vedere… BRUUUM!

venerdì 13 maggio 2011

Frecce e specchietti: non solo per gli Indiani…


Ricorderete tutti gli anni delle scuole elementari e le maestre che ci insegnavano la storia quasi come fosse una grande favola. Uno degli argomenti più intriganti era la scoperta dell’America. Il viaggio di Colombo, la regina di Spagna, le tre Caravelle, l’ambizione di trovare la via delle Indie passando dalla parte sbagliata ecc.ecc.  Ricorderete anche che ci raccontavano che Colombo portò in dono chincaglieria varia, tra cui i famosi specchietti (i nativi americani non sapevano come creare uno specchio), e che egli stesso rimase stupito dalla destrezza con cui usavano l’arco e le frecce. Ecco, se nelle nostre strade si potesse portare un po’ di quella antica maestria nell’uso delle frecce (senza l’arco però!) e un po’ di attenzione sulla presenza degli specchietti… ne guadagneremmo tutti.
Nelle nostre grandi città dalle vie perennemente intasate,  nelle tangenziali iper-frenetiche o nelle autostrade stracolme dei finesettimana, pochissimi automobilisti usano gli indicatori di direzione e ancora meno sono quelli che ne fanno un uso corretto. Stendiamo poi un velo pietosissimo sulle rotonde…
Ritengo che la causa principale di questo fenomeno sia il menefreghismo, seguito dall’ignoranza in materia. La freccia andrebbe messa esclusivamente per segnalare una intenzione di svolta o un cambio di direzione in caso di marcia rettilinea. L’uso peggiore che se ne fa è quello di lasciarla attivata mentre si sorpassa su una strada a corsie parallele; forse si pensa che lasciandola accesa fissa, i guidatori davanti a noi ci daranno strada più facilmente. Altro uso scorretto è azionarla solo un istante prima di svoltare o scartare; si capisce che in quel caso la funzione di segnalare in anticipo va a farsi benedire.
Purtroppo i menefreghisti non si rendono conto che se tutti usassero correttamente le frecce la circolazione sarebbe più fluida e anche più sicura; se tutti sapessero cosa sta per fare l’auto che precede o quella all’angolo di un incrocio, potrebbero reagire in anticipo o quantomeno preparasi a reagire. I benefici di un uso corretto dovrebbero essere evidenti, ma evidentemente così non è
E gli specchietti? Non voglio dilungarmi troppo, mi limiterò a dire che, dopo aver segnalato le proprie intenzioni azionando l’indicatore di direzione, sarebbe opportuno controllare alle proprie spalle per vedere se dalla direzione che vogliamo imboccare stia arrivando qualcuno… BRUUUM!

giovedì 5 maggio 2011

Salve, mi fa il pieno? - Certo, paga a rate?

Spero di avervi strappato una risata con questo titolo ironico, visto che in realtà c’è ben poco da ridere. Se la prima frase di questo immaginario botta e risposta è forse una delle più comuni in una stazione di servizio, la seconda è solitamente appannaggio di esercizi commerciali dedicati a beni molto più costosi. Per quanto possa salire il prezzo alla pompa, difficilmente pagheremo i rabbocchi o i pieni a rate. Tuttavia, guardando all’andamento delle quotazioni del greggio e dei relativi costi dei diversi carburanti, è lecito fare qualche considerazione.
Tra l’altro questo è uno dei pochissimi argomenti su cui le opinioni difficilmente si spaccano e diventano faziose… siamo tutti in collera allo stesso modo. Ma se la rabbia non ci fa difetto, forse manca una chiara visione della situazione, che ci permetta di rivolgerla a chi se la merita.  Proviamo a fare luce.
Innanzitutto ricordiamoci che l’euro e mezzo al litro che paghiamo al distributore non è il costo reale del carburante ma è il risultato di un complesso meccanismo di tassazione, il quale raddoppia (e anche di più) il prezzo di partenza. Se la benzina fosse esentasse, spenderemmo circa 0,70€ per litro. Un sogno, vero? Infatti il brusco risveglio ce lo causano le famose “accise”, che non sono altro che imposte a valore fisso, motivate dalle cause più disparate; lo sapevate, per sempio, cha paghiamo 0,11€ per finanziare la guerra in Libano del 1983? Inoltre, per arrivare al prezzo al consumatore va sommato il valore dell’ IVA, che si calcola sul carburante già gravato dalle accise. Quindi abbiamo una tassa sulla tasse.
Questa è sicuramente una delle due principali ragioni che mandano il sangue al cervello agli automobilisti; la seconda è molto più semplice da spiegare, essendo legata all’andamento delle quotazioni del petrolio, però è più difficile da capire, o forse è fin troppo facile… Lo lascio giudicare a voi, dopo aver portato alla vostra attenzione una piccola comparazione:

estate 2008 - prezzo del petrolio al barile 147 dollari – prezzo della benzina alla pompa 1,50€
primavera 2011 – prezzo del petrolio al barile 110 dollari – prezzo della benzina alla pompa 1,60€

secondo me c’è qualcosa che non quadra... BRUUUM!!!