venerdì 23 dicembre 2011

La storia della crisi, parte 2: inizia il calo delle vendite


Gli effetti della crisi economica non avrebbero tardato a farsi sentire anche sul mercato dell’auto, che nel 2007 il mercato dell’auto USA ha registrato il livello più basso di vendite degli ultimi dieci anni. Inoltre, Toyota è balzata, per la prima volta, al secondo posto delle classifiche di vendita, scalzando Ford e seconda solo a General Motors. Ford manteneva il secondo posto nelle classifiche di vendita interne per ben settantacinque anni. Il sorpasso, per la verità, è avvenuto grazie a un numero di veicoli relativamente piccolo rispetto alle cifre del mercato statunitense (48.226), tuttavia è molto indicativo rispetto al periodo di crisi in cui Ford era ormai entrata. E infatti, proprio all’inizio del 2008, l’azienda ha deciso di mettere in vendita i cosiddetti “gioielli della Corona”, ovvero i marchi Land Rover e Jaguar, dopo che nel marzo del 2007 si era già liberata di Aston Martin, vendendola a una cordata di imprenditori mediorientali capitanati da David Richards, già presidente della Prodrive, famosa azienda britannica attiva nel mondo delle competizioni. Le trattative per la cessione dei due prestigiosi marchi hanno visto come interlocutore privilegiato Tata. Le cessioni di questi marchi da parte di Ford sono state determinate dall’attuazione della nuova politica commerciale voluta dal Ceo Alan Mullaly, insediatosi alla guida dell’azienda nell’agosto 2006. Mullaly ha messo a punto il piano “One Ford”, ovvero un piano industriale nato con l’intenzione di concentrare tutte le risorse dell’azienda attorno al marchio Ford e allo stesso tempo riunire sotto un unico tetto le tante divisioni dell’azienda sparse per il mondo. Inoltre Mullaly, con una certa lungimiranza, ha chiesto e ottenuto un finanziamento di diciotto miliardi di dollari da diverse banche, assicurando così all’azienda la liquidità necessaria per affrontare l’imminente crisi. Nel mercato Usa, la flessione del numero totale di auto vendute rispetto al 2006 si è attestata al 2,8% e il totale di autovetture e truck (SUV, MPV e pick-up9) immatricolate è stato di 16.130.002 di esemplari. In questa flessione ha avuto un ruolo importante il rincaro dei prezzi dei carburanti; infatti nell’anno 2007 il prezzo al barile del petrolio ha raggiunto la ragguardevole cifra di cento dollari. Guardando le cifre inerenti il mercato nell’anno 2007, si osserva una diminuzione del 6,2% per GM, pari a 3,79 milioni di veicoli immatricolati. Le prime avvisaglie dell’ingresso in questo difficile periodo hanno trovato poi conferma nei dati di vendite di gennaio 2008. L’anno è partito a rilento, il numero totale di auto e truck immatricolati è stato di 1.040.899 pezzi; il calo rispetto a gennaio 2007 è stato pari al 4,4%. Il mese successivo la situazione è peggiorata: i dati di vendita sono stati tutt’altro che incoraggianti e la flessione su base mensile è stata questa volta del 10,2%, ovvero 1.175.884 unità vendute sommando auto e truck. Il panorama ha iniziato, quindi, a diventare fosco: il calo delle vendite delle cosiddette “big three” (GM, Ford e Chrysler) è diventato pesante, attestandosi rispettivamente al -16,3%, -10,2% e -17,4%. Anche Toyota è parsa in difficoltà, riportando un calo del 6,6%. La J&D Power Associates stimava che le vendite sul mercato USA nel 2008 avrebbero raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni. In questo scenario non incoraggiante, si è aperta a metà gennaio la centounesima edizione del tradizionale Salone di Detroit. Alle difficoltà economico-finanziarie si sono aggiunti anche problemi di identità dei brand e di creatività. La conferma di queste difficoltà è arrivata dai classici show a cui le case americane affidano la presentazione dei nuovi modelli. Al grandioso spettacolo per il nuovo Ford F-150 (il pick-up best seller del mercato degli ultimi trenta anni) e alla grande parata in stile western che ha accompagnato nel salone il nuovo Dodge Ram, ha fatto da contraltare la comparsa di alcune auto di taglia piccola, come la world car Ford Verve (che prefigurava la nuova generazione di Ford Fiesta). Questa è stata una novità assoluta per il pubblico americano. Ma secondo Ford, le small car avrebbero fatto la parte del leone sul mercato negli anni successivi, passando dalle ottocentomila unità vendute nel 2007 a ben tre milioni e mezzo nel 2012. Questa previsione ha trovato d’accordo anche i vertici di GM e di Toyota, che seguendo l’esempio di Ford, hanno presentato la Chevrolet Aveo e la Toyota Yaris, due vetture compatte nate in Europa. È qui che si è palesata la crisi di identità di alcuni brand automobilistici, in questa dicotomia tra i veicoli che una grande parte del pubblico USA continuava a ritenere immancabili e i mezzi di nuova generazione, più piccoli, parsimoniosi e meno inquinanti, di cui gli stand delle Big Three avevano iniziato a popolarsi. D’altro canto, nel 2007, il Congresso degli Stati Uniti aveva fissato nuovi limiti di consumo per le autovetture, di trentacinque miglia per gallone, pari a circa dodici chilometri per litro, limiti che tutte le automobili circolanti in USA avrebbero dovuto rispettare entro il 2020. Ovviamente le tre grandi aziende USA hanno prontamente dimostrato di essere attente al nuovo tema dell’ecologia. La GM per prima ha annunciato l’interruzione dello sviluppo del suo storico motore a otto cilindri (V8 Northstar) e contemporaneamente l’intenzione di commercializzare otto modelli ibridi nel 2008 e altri sedici modelli nei successivi quattro anni. Ford ha puntato invece nell’immediato a una tecnologia più sfruttabile, ovvero l’uso dell’etanolo (già diffuso in America Latina) al posto della benzina, offrendo trentacinque modelli con la doppia alimentazione. Contemporaneamente non ha perso di vista lo sviluppo dell’ibrido, presentando il prototipo “Escape Plug-in” e ha continuato a lavorare sui classici motori termici per renderli più efficienti, sviluppando una nuova tecnologia, denominata EcoBoost, che sfrutta l’iniezione diretta di benzina ad altra pressione, in combinazione con la sovralimentazione. Anche Chrysler ha iniziato a impegnarsi nella riduzione dei consumi e delle emissioni, presentando la propria soluzione, ovvero l’utilizzo di un motore elettrico principale ad alta potenza coadiuvato da un propulsore termico più piccolo per aumentare l’autonomia del veicolo. Nel frattempo, però, il mercato ha continuato a registrare diminuzioni delle vendite. Le immatricolazioni del primo trimestre 2008 hanno subito  un calo del 7,4% rispetto al primo trimestre dell’anno precedente. Questo dato ha portato a rivedere al ribasso le previsioni di vendita per il 2008: rispetto ai 16,1 milioni di veicoli venduti nel 2007, le stime di Autodata Corporation hanno previsto 15,3 milioni di unità per il 2008; più pessimista invece J.D. Power, che ha ipotizzato vendite pari a 14.95 milioni di veicoli. Proprio a proposito di queste cifre, i portavoce delle Big Three dichiaravano che il trimestre che stava iniziando sarebbe stato il peggiore del 2008. Sugli scarsi risultati di vendita ha iniziato a pesare la crescente difficoltà ad ottenere credito: secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Gmac ha alzato tre volte gli standard minimi per concedere finanziamenti alla clientela; provvedimenti simili sono stati decisi anche da AmeriCredit e Sovereign Bancorp, con il risultato che per i consumatori è stato sempre più difficile accedere al credito per l’acquisto di un’auto, nonostante il taglio dei tassi di interesse operato dalla Fed. E’ evidente che le Big Three dovessero concepire nuove strategie di prodotto per mettersi al passo con le richieste del mercato: nel 2007 il segmento dei SUV valeva il 18% dell’immatricolato totale, pari a 2,8 milioni di veicoli, ovvero il primo segmento dell’intero mercato statunitense; dai tre milioni di SUV venduti nel 2003, si è passati alla previsione di un milione e mezzo scarso di esemplari nel 2008. Allo stesso tempo è aumentata la domanda di veicoli sub compact, cioè di piccole dimensioni e dai consumi più bassi. Le cosiddette “small car” cessavano di essere derise e i concessionari cercavano di averne sempre disponibili nei saloni, per far fronte a richieste crescenti. Parallelamente, i classici motori a sei e a otto cilindri erano sempre meno presenti sotto i cofani delle nuove auto vendute. Al loro posto hanno iniziato a diffondersi i propulsori a quattro cilindri, tradizionalmente snobbati dal cliente medio americano: nel primo trimestre del 2008 le vendite di SUV sono scese del 28%, mentre quelle di vetture sub-compact sono salite del 32%. Riguardo invece ai motori, sempre nel primo trimestre del 2008, ben il 38% delle nuove auto immatricolate sono spinte da quelli a quattro cilindri. La casa di Dearborn dovrà affrontare anche un altro problema: dopo diciassette anni di leadership incontrastata nella classifica dei modelli più venduti sul mercato statunitense, il Ford F-Series pick-up ha perso il primo posto. Le consegne rispetto a maggio del 2007 sono calate del 30,6%. Ma l’altro dato significativo, almeno quanto la perdita della leadership da parte del pick-up Ford, è la nuova classifica delle auto più vendute, in cui ai primi quattro posti si sono piazzati modelli del segmento sub-compact: Honda Civic, Toyota Corolla, Toyota Camry e Honda Accord. Considerando che le Big Three venivano da anni di licenziamenti e ristrutturazioni, e speravano in un 2008 capace di dare avvio a una ripresa delle vendite, non sorprendono le dichiarazioni del Presidente di GM Rick Wagoner all’allora candidato alla Casa Bianca Barack Obama, secondo cui: « (GM) ha bisogno dell’aiuto del Governo per continuare a competere a livello globale, per investire di più nella ricerca e per diventare più amica dell’ambiente». In effetti la crisi ha colpito maggiormente i modelli dai consumi di carburante più alti, cioè truck e SUV; mentre il consumatore americano scopre per la prima volta le small car. Secondo George Pipas, analista Ford, questo è stato lo spostamento di mercato più drastico degli ultimi trent’anni. Il problema vero era che nessuna delle Big Three ha nella propria scuderia una vettura in grado d’incontrare i nuovi gusti dei clienti, mentre Toyota, con la sua Yaris, aumentava le vendite del 46% rispetto all’anno precedente. Secondo gli analisti, l’unica chance per uscire da questa situazione avrebbe potuto essere quella di mettere in commercio una vettura piccola e dai consumi ridotti. Anche GM se ne è resa conto, tant’è che un suo portavoce ha confermato le indiscrezioni riguardo al lancio sul mercato nordamericano della piccola Chevrolet Beat, una vettura progettata e sviluppata per i mercati asiatici e sudamericani, da vendere a un prezzo non superiore ai 10.000 dollari. Mentre le Big Three hanno iniziato a pensare a come attrezzarsi per il futuro prossimo, il 2008 continuava a dare segnali preoccupanti: a metà dell’anno le immatricolazioni sono scese ancora. A luglio il costo della benzina superava i quattro dollari al gallone e si avviava verso i cinque; ciò ha costretto gli americani a cambiare le proprie abitudini: meno viaggi, meno consumi e richiesta di automobili più piccole. Proprio le Big Three hanno risentito di più di questo mutamento di scenario: nell’ultimo decennio SUV, pick-up e minivan avevano portato alle case automobilistiche americane le maggiori entrate. Nel 2008 queste vetture sono diventate, invece, il loro grande problema, tant’è che GM ha annunciato di voler chiudere ben quattro fabbriche di light truck, licenziando circa diecimila lavoratori. Inoltre ha deciso di liberarsi del marchio Hummer. I dati del venduto totale nei primi sei mesi dell’anno 2008 hanno evidenziano un ribasso rispetto al 2007 del 10,3%, equivalenti a 7.454.926 unità totali. Tuttavia non si era ancora verificato quello che gli operatori di settore temevano da tempo, ovvero il sorpasso di Toyota su GM nelle classifiche di vendita relative al mercato nordamericano. 

lunedì 19 dicembre 2011

Subaru BRZ e Toyota GT 86, sportive vecchia scuola!!


Bisogna ringraziare i giapponesi. Non è necessario che lo facciano tutti, ma quelli che si ritengono appassionati di auto e, soprattutto, della bella guida, dovrebbero assolutamente farlo. In un periodo in cui la presenza di vetture sportive nei listini si è ridotta al lumicino ed è limitata a pochi marchi specialistici, che producono modelli dai prezzi spesso inavvicinabili, Toyota e Subaru vanno controcorrente. Grazie al loro accordo, giacché lo sviluppo di un'auto di nicchia totalmente nuova è molto costoso, si sono divisi equamente i compiti. Subaru ha sviluppato il comparto motore/trasmissione, Toyota si è occupata di telaio e carrozzeria. Ecco quindi uno splendido e sonoro 4 cilindri boxer aspirato, da 200CV a 7000giri/min, abbinato ad una semplice trazione posteriore, servita da una trasmissione a 6 rapporti, che può essere manuale o automatica a doppia frizione, dotata di differenziale autobloccante. Avendo rinunciato del tutto all'integrale, il posizionamento del propulsore è sceso di ben 14cm rispetto alle altre Subaru, abbassando così drasticamente il baricentro dell'auto, che è anche molto bassa di suo, l'altezza massima è infatti di 1,3 metri. Anche i tecnici Toyota si sono dati da fare, riuscendo a mantenere il peso entro il 1200kg e montando sospensioni raffinate: quadrilateri al posteriore e MacPherson (interamente di alluminio) all'anteriore. Completano il quadro un allestimento interno essenziale ma funzionale, con un posto guida incentrato sul pilota, volante verticale e leva del cambio corta e ottimamente posizionata. I prezzi ufficiali non sono ancora noti, ma dovrebbero partire da circa 30.000€. Che cosa manca? I nomi delle auto! Ero talmente preso dalle caratteristiche tecniche che quasi li dimenticavo..signore e signori, sono lieto di presentarvi la Subaru BRZ e la Toyota GT 86! BRUUUM!!!



domenica 18 dicembre 2011

La storia della crisi, parte 1: come tutto ebbe inizio

La scintilla che ha acceso la miccia della crisi è stata lo scoppio della forte bolla speculativa del mercato immobiliare americano nel 2004, avvenuto a seguito di un lungo periodo in cui i prezzi delle case sono cresciuti costantemente e i mutui sono stati erogati con sempre maggiore facilità . Questa pratica è stata definita dei “mutui subprime”, ovvero concessi a debitori che hanno una storia creditizia che include insolvenze, avvisi di garanzia, pignoramenti e bancarotta; generalmente i mutuatari subprime hanno bassi redditi e ovviamente bassa capacità di rimborso. Avendo un alto tasso di insolvenza, i “prestiti subprime” hanno tipicamente condizioni più svantaggiose rispetto alle altre tipologie di credito, e gli interessi sono elevatissimi . La popolarità dei prestatori subprime è cresciuta rapidamente a partire dagli anni ’90 con una tipologia di mutuo che offre inizialmente un basso tasso fisso per due anni, che diviene variabile a un tasso più elevato per la vita successiva del mutuo, in genere ventotto anni. 
Questo fenomeno è passato praticamente inosservato agli occhi del Governo americano. Quando nel biennio 2004/06 è giunto il momento di ricalcolare i tassi d’interesse sui mutui subprime, questi sono saliti vertiginosamente e la maggior parte dei debitori non è stata in grado di pagare le rate o di rifinanziare il mutuo. A partire dalla fine del 2006 l’intero sistema statunitense dei mutui subprime è entrato in una crisi catastrofica, dovuta all’ascesa inarrestabile dei tassi di insolvenza, costringendo oltre due dozzine di agenzie di credito al fallimento; questo ha comportato l’azzeramento del valore azionario di un mercato che capitalizza seimilacinquecento miliardi di dollari, con conseguenze nefaste sia sul mercato immobiliare americano, praticamente crollato, ché sull’intera economia USA. Nel 2007 1,3 milioni di proprietà immobiliari sono state messe all’asta per insolvenza, il 79% in più rispetto al 2006. 
D’un tratto le banche non sono state più disposte a farsi prestiti a vicenda e ciò ha portato a quello che si definisce “credit crunch” ossia un periodo in cui si riduce la liquidità nel sistema perché nessuno presta denaro . Le perdite hanno cominciato ad accumularsi, tant’è che a luglio 2008 il settore bancario e creditizio ha denunciato perdite globali per oltre quattrocento miliardi di dollari. Dopo diversi mesi di debolezza e perdita di impieghi il fenomeno è collassato, causando il fallimento di banche e istituti di credito, determinando una forte riduzione dei valori borsistici e della capacità di consumo e risparmio della popolazione. Alcuni governi sono dovuti intervenire anche drasticamente per salvare alcuni istituti, mentre per altri la situazione è parsa ormai inevitabilmente compromessa. 
La preoccupazione di assistere a ulteriori bancarotte e la necessità di evitare ripercussioni negative sull’intero sistema economico, ha spinto addirittura il Governo americano a creare un piano di salvataggio del valore di settecento miliardi di dollari per il settore bancario e creditizio. Questo non è stato sufficiente a evitare il fallimento, senza precedenti nel Dopoguerra, di Lehman Brothers, una delle più importanti banche d’affari del mondo. Nel frattempo gli indici delle borse americane, specchio della salute dell’economia USA, sono letteralmente colati a picco con perdite che dall’inizio dell’anno hanno superato il 40% del valore. Gli effetti di questa crisi finanziaria sarebbero rimasti confinati al mercato statunitense se le banche e i creditori di questi prestiti subprime non avessero cartolarizzato questi debiti immettendoli sul mercato, facendoli circolare tra gli investitori sotto forma di azioni e tra gli istituti bancari come pacchetti finanziari incomprensibili ai più, creando una bolla finanziaria di dimensioni impensabili. 
Alla crisi finanziaria si è aggiunta la corsa del prezzo del petrolio, inarrestabile a causa del forte aumento della domanda da parte di economie emergenti come quelle di Cina e India. Questo ha influito sia sui prezzi dei carburanti, sia sui costi energetici; il maggior costo dei trasporti ha, a sua volta, fatto salire i prezzi di tutti i beni di consumo. Nel 2008, inoltre, si è verificato un sensibile aumento del costo di molte materie prime e di alcuni cereali fondamentali nella preparazione degli alimenti; ad esempio preparati chimici essenziali nella catena di produzione, come la soda caustica e l’acido solforico, hanno aumentato le loro quotazioni fino al 60%. Il tutto accompagnato da un’ondata generalizzata di ribassi con considerevoli perdite nelle borse di tutti i continenti. 
La crisi del settore bancario si è diffusa velocemente dagli Stati Uniti anche in Europa, determinando l’effetto di una forte riduzione del denaro circolante e di una restrizione nell’erogazione del credito ad imprese e consumatori. Le borse del vecchio continente hanno accumulato molteplici perdite. Nell’area Euro si è verificato il più massiccio intervento nella storia della Banca Centrale Europea. Quella nata come crisi finanziaria ha iniziato così a far sentire i suoi effetti anche sull’economia reale: alla contrazione dei consumi ha fatto seguito un rallentamento della produzione da parte delle imprese con conseguente aumento della disoccupazione, con il risultato che molte nazioni europee hanno visto scendere l’incremento del loro P.I.L. verso lo zero.


giovedì 15 dicembre 2011

Super Mario e il super bollo

Ci risiamo. Ogniqualvolta il governo di turno si trovi a dover far cassa in tempi brevi, gli automobilisti sono sempre tra i primi tartassati, anzi direi proprio i primi. Possedere e mantenere un'auto costa sempre di più. Le alternative sono poche. Solo alcune città del nord sono ben servite dai mezzi pubblici, nel resto del Belpaese avere un'automobile è quasi un obbligo per chi voglia condurre una vita normale. L'auto è una necessità per tantissime persone, ma per alcune è anche una grande passione. Gli ultimi rincari delle accise hanno portato i prezzi dei carburanti a livelli folli, affrontare un viaggio senza avere passeggeri con i quali dividere le spese è diventato un lusso. Proprio quest'ultima parola è al centro delle attenzioni negli ultimi giorni. Il lusso. Bisogna tassare il lusso. Ecco quindi il nuovo super bollo che colpisce le auto oltre i 250CV di potenza, in ragione di 20€ per ogni KW oltre la soglia dei 185, anche se la sovrattassa decresce con l'età del mezzo. Vale la pena ricordare che già il normale bollo si paga in base alla potenza dell'auto, così come, da poco, l' IPT, il famigerato dazio che sta uccidendo buona parte del mercato dell'usato (e del nuovo) e che sta facendo colare a picco tanti autosaloni. 
Non so voi, ma io non comprendo questo accanimento nei confronti della potenza. Non sarebbe più giusto pagare in base al valore effettivo della vettura posseduta? Facciamo un bell'esempio. Avete presente la Renault Megane RS, quella che ha da poco stabilito il record al Nurburgring per le trazioni anteriori? Bene, costa 29.200€ e ha 250CV. Perché dovrebbe pagare la stessa tassa di possesso di una Audi A8 3.0 TDI da 79.356€, sempre con 250CV? Perché un appassionato che magari fa mille rinunce per avere l'auto dei suoi sogni è equiparato a chi può spendere quasi il triplo per avere un'auto di rappresentanza? E che nessuno si azzardi a rispondermi che avere un'auto potente è un lusso, perché allora entriamo nel campo del soggettivo e dobbiamo stabilire precisamente che cosa è lusso e che cosa non lo è, e non credo che sarebbe semplice trovare un accordo. Potremmo ad esempio parlare di abbigliamento...mettiamo l'IVA al 50% su tutte le camicie e i pantaloni che costano più di 50€. Mettiamola anche sulle borse e le scarpe che costano più di 100€. E i cellulari? Potremmo ivare al 50% tutti quelli che costano più di 150€, no? E i gioielli? E gli orologi? E i vini da oltre 10€ la bottiglia? Alziamo le tasse anche su questi beni allora...
Vi sembro matto? Niente affatto. Come avete potuto leggere, il concetto di lusso è soggettivo, mentre i soldi sono molto oggettivi, del resto sono numeri. Chi spende di più per un'auto paghi di più. Punto. BRUUUM!!! 

domenica 11 dicembre 2011

Le ragazze del Motor Show di Bologna 2011

Il Motor Show 2011 è appena finito, ma è giusto parlarne ancora una volta per fare un piccolo omaggio alle ragazze che hanno lavorato alla kermesse bolognese. Sempre sorridenti e disponibili, anche dopo la milionesima foto richiesta, con la loro bellezza hanno spesso eclissato le auto al loro fianco, per la gioia del pubblico maschile. Grazie ragazze, arrivederci al prossimo anno!

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giovedì 8 dicembre 2011

Speciale Motor Show 2011: Audi A1 Sportback


L'Audi A1 Sportback è la regina del padiglione 16 del Motor Show di Bologna. Ruba decisamente la scena all'altra anteprima europea del Gruppo VW, la Passat Alltrack, ed ecclissa anche la SUV middle-size Q3. La piccola di Ingolstadt è finalmente disponibile anche in versione 5 porte, che incontrerà il favore di tutte quelle persone che cercano una segmento B premium, ma non vogliono rinunciare alla comodità delle portiere posteriori. In effetti, dando un'occhiata alla concorrenza, la A1 è l'unica ad offrire questo plus, per lo meno fino all'uscita della Alfa Romeo Mito a 5 porte, attesa per il 2013. Per il resto c'è poco da dire, le caratteristiche tecniche sono le medesime della versione a 3 porte, anche la lunghezza è invariata. L'unica modifica di rilevo è il diverso andamento della linea del padiglione posteriore, peraltro difficilmente percepibile ad occhio nudo, volto a dare un po' più di spazio alle teste di chi siede dietro. I prezzi si confermano al top del segmento, partendo da circa 18.000€. Sempre che non ci si faccia prendere la mano dagli optional; l'esemplare che vedete in foto è prezzato infatti sui 39.000€...BRUUUM!!!
Il listino ufficiale per l'Italia:

Audi A1 Sportback 1.2 TFSI (86CV) Attraction: 17.830€
Audi A1 Sportback 1.2 TFSI (86CV) Ambition: 19.280€
Audi A1 Sportback 1.4 TFSI (122CV) Attraction: 20.730€
Audi A1 Sportback 1.4 TFSI (122CV) Ambition: 21.980€
Audi A1 Sportback 1.4 TFSI S-Tronic (122CV) Attraction: 22.480€
Audi A1 Sportback 1.4 TFSI S-Tronic (122CV) Ambition: 23.730€
Audi A1 Sportback 1.4 TFSI S-Tronic (185CV) Ambition: 27.380€

Audi A1 Sportback 1.6 TDI (90CV) Attraction: 19.830€
Audi A1 Sportback 1.6 TDI (90CV) Ambition: 21.280€
Audi A1 Sportback 1.6 TDI S-Tronic (90CV) Attraction: 21.580€
Audi A1 Sportback 1.6 TDI S-Tronic (90CV) Ambition: 21.580€ 
Audi A1 Sportback 1.6 TDI (105CV) Attraction: 21.630€
Audi A1 Sportback 1.6 TDI (105CV) Ambition: 22.880€

mercoledì 7 dicembre 2011

Speciale Motor Show 2011: Ford ST



A Dearborn sono convinti che il prodotto faccia la differenza; allo stesso tempo non dimenticano i clienti più dinamici. Ford è un brand molto apprezzato in Italia, l' ultima versione della Fiesta è sempre sul podio delle classifiche di vendita del suo segmento e la Focus è un evergreen.Ma Ford non vuol dire solo buona qualità costruttiva e design accattivante a prezzi convenienti, vuole anche dire ottime auto sportive derivate dalla grande serie. Ecco quindi, al Motor Show di Bologna, la gamma ST (Sport Technology) al gran completo, in cui si conciliano le prestazioni e la sfruttabilità a 360 gradi. L'entry-level è la Fiesta, dotata del 1.6 EcoBoost da 180CV e 240Nm di coppia che, coadiuvato dal cambio manuale a 6 marce dovrebbe garantire 220km/h di punta massima e 7 secondi scarsi nello 0-100 km/h. Tutto ciò con emissioni contenute entro i 140g/km. Salendo di segmento ecco la Focus, disponibile con carrozzeria a 5 porte e, grande novità, anche station wagon. In questo caso il propulsore è il 2.0 litri EcoBoost da 250CV e 360Nm di coppia, servito da un cambio manuale a 6 marce. Le prestazioni non sono ancora state dichiarate, ma viste le premesse si possono dormire sonni...veloci. Non resta che aspettare la commercializzazione di queste vetture, per saggiarne le doti stradali; intanto è giusto fare un applauso a Ford per non aver dimenticato tutti quegli appassionati della guida che non possono permettersi un' auto per tutti i giorni e una per il weekend. BRUUUM!!!