venerdì 23 dicembre 2011

La storia della crisi parte 3: verso il tracollo

Intanto Chrysler annunciava di voler “tagliare” circa mille agenti di vendita in tutto il mondo entro settembre 2008, mentre Ford si preparava a reagire per prima, avviando una riconversione di alcuni dei suoi siti produttivi, in modo da utilizzarli per la fabbricazione dei suoi modelli commercializzati in Europa, ovvero vetture di dimensioni e consumi più contenuti. Anche se gli analisti avevano previsto una flessione, i conti del secondo trimestre del 2008 erano ben peggiori di qualsiasi aspettativa: infatti, le perdite hanno raggiunto gli 8,7 miliardi di dollari. Nel frattempo, Global Insight ritoccava le sue previsioni di vendita relative al 2008, abbassandole da 14,7 a 14,4 milioni di unità totali. La situazione diventava difficile anche per GM: i conti del secondo trimestre del 2008 hanno evidenziato una perdita netta di 15,5 miliardi, un risultato pessimo, il terzo peggiore di sempre nella storia quasi centenaria del colosso americano, e anche allarmante, se paragonato al risultato dell’anno precedente, cioè un utile netto di 891 milioni. A queste cifre vanno sommate quelle del passivo accumulato nell’intero 2007, ammontante a trentanove miliardi di dollari. A fronte di questa preoccupante situazione, GM ha annunciato un drastico piano di ristrutturazione, che prevedeva lo spostamento della produzione verso vetture di dimensioni più contenute, più parsimoniose e meno inquinanti, a scapito di SUV e pick-up, i veicoli che hanno dato maggiori margini di guadagno, ma che sono sempre meno richiesti dal mercato. Il piano ha previsto inoltre la sospensione della distribuzione del dividendo azionario e la riduzione della forza lavoro, soprattutto riguardo i cosiddetti “colletti bianchi”. La recessione del mercato statunitense intanto è diventata inarrestabile, e nel mese di luglio 2008 si è verificato un fatto mai accaduto prima: per la prima volta nella storia, i brand giapponesi hanno conquistato una quota maggiore di mercato rispetto alle Big Three, in un singolo mese. Proprio nel periodo tra luglio e agosto si è iniziato ad usare la parola “catastrofe” al posto del termine “crisi”, vista anche la poca efficacia dei robusti sconti proposti da GM negli ultimi mesi. Ad agosto 2008 i portavoce delle Big Three si sono presentati al Parlamento americano, avendo realizzato che i venticinque miliardi di dollari di crediti, stanziati l’anno precedente dal Congresso, non sarebbero stati sufficienti per fronteggiare la recessione. Tuttavia, GM sperava di contenere i danni, rispetto al breve periodo, con la nuova politica di agevolazioni offerte a consumatori e dipendenti in occasione dei festeggiamenti per il centesimo anniversario della sua fondazione. Si dovrà assistere a un altro mese di pesante calo delle vendite che rafforza la posizione delle Big Three dinnanzi al Congresso; queste infatti hanno dichiarato di necessitare di finanziamenti fino a cinquanta miliardi di dollari, legati certamente all’investimento per la nuova generazione di auto ecologiche, ma sempre il doppio dei venticinque stanziati l’anno precedente grazie alla legge sull’energia. Queste richieste hanno destato molto scalpore nel paese che più di tutti gli altri al mondo crede nel libero mercato. L’operazione di salvataggio mediante fondi pubblici non si è configurata solo come una questione politica e finanziaria ma soprattutto come un problema sociale, dal momento che GM e Ford sono state due delle più grandi società d’America, con 263.000 dipendenti la prima e 246.000 la seconda; senza dimenticare Chrysler con i suoi 132.000 lavoratori. La “catastrofe” che si temeva per il mese di agosto è arrivata: il mercato ha continuato infatti a perdere immatricolazioni. Il dato riguardante l’ottavo mese dell’anno mostra una flessione del 15,6%, corrispondente a 1.244.993 esemplari consegnati. A questo punto, gli analisti del settore stimano un calo complessivo tra il 14% e il 19% su base annuale, corrispondenti a circa 14 milioni di veicoli, cioè il dato più basso dal 1992. Nel mese di settembre, poi, il tracollo: l’intero settore ha perso il 27,6%, non riuscendo incredibilmente a superare la soglia del milione di esemplari venduti. Questa grave perdita ha influito negativamente anche sul dato trimestrale: nei primi tre trimestri del 2008 erano state immatricolate un milione e mezzo di auto in meno rispetto al 2007, corrispondenti a un calo del 13%. Rispetto al mese di settembre, invece, Chrysler e Ford fanno registrare un record passivo del 30%, mentre GM limita i danni con un -12%. Tutto ciò è accaduto nonostante una diminuzione del prezzo della benzina e i generosi sconti che le concessionarie offrivano. Intanto nei primi giorni del mese di ottobre veniva trasformato in legge l’attesissimo stanziamento di venticinque miliardi di dollari in aiuti statali per l’industria dell’auto americana. Questo stanziamento era stato deciso durante il 2007 dal Congresso, sotto forma di prestiti agevolati, per aiutare le Big Three a sviluppare nuovi modelli in grado di rispettare le ultime norme sull’ecologia. Secondo queste norme, entro il 2020 tutti i nuovi veicoli in circolazione negli USA non avrebbero dovuto percorrere meno di dodici chilometri con un litro di benzina. Ma la recessione proseguiva e diventava sempre più profonda: i dati delle vendite del mese di ottobre hanno evidenziato un passivo rispetto all’anno precedente del 32%, pari a 834.522 veicoli. In attesa delle imminenti elezioni presidenziali e di sapere se gli aiuti statali sarebbero stati raddoppiati, le Big Three cercavano altre vie per fronteggiare la crisi e prendono addirittura in considerazione la possibilità di fondersi tra di loro. Il mese di novembre ha fatto registrare l’ennesima pesante flessione del mercato: -36,8%, pari a 742.428 immatricolazioni. I vertici in casa Ford erano parzialmente soddisfatti, avendo limitato il calo al 30%, in considerazione dei decrementi avuti da GM (41,3%) e Chrysler (47,1%). Nello stesso periodo sono definitivamente naufragate le trattative per la fusione tra GM e Chrysler, principalmente perché nessuno dei due costruttori sarebbe stato in grado di pagare i costi dell’operazione, in secondo luogo perché l’amministrazione uscente Bush si è rifiutata di finanziarla. Allo stato attuale era chiaro che Chrysler non sarebbe potuto rimanere a lungo un costruttore indipendente; le sue dimensioni e la sua debolezza al di fuori del mercato domestico non lo avrebbero consentito. A conferma di questo, Bob Nardelli dichiarava che senza aiuti pubblici sarebbe stato molto difficile per Chrysler sopravvivere.Ma anche per le altre due “Big” il momento era diventato critico e la richiesta di aiuti statali si è fatta decisamente più insistente; nel mese di novembre si discutono in maniera sempre più accesa le decisioni da prendere in merito. Le trattative non si sbloccavano poiché le Big Three, a fronte di una richiesta complessiva di venticinque miliardi di dollari, non sono in grado di presentare un piano di ristrutturazione profonda; sicché gli aiuti statali tamponerebbero solo l’emorragia, che si riaprirebbe inevitabilmente entro l’estate successiva. Così i top manager delle case americane sono stati costretti a ripresentarsi al Parlamento nei primi giorni di dicembre, esponendo i loro nuovi programmi di intervento; programmi che hanno alzato la richiesta di esborso complessivo fino a trentaquattro miliardi di dollari, di cui diciotto per GM, nove per Ford e sette per Chrysler. I nuovi piani industriali hanno previsto profonde riorganizzazioni: GM si è impegnata a concentrarsi solo su quattro marchi (Chevrolet, GMC, Buick e Cadillac) rispetto agli otto totali, a tagliare trentamila posti di lavoro, nove impianti e millesettecentocinquanta concessionari entro il 2012; Ford ha pianificato la riduzione del numero dei concessionari, la revisione dei contratti di lavoro e la produzione di nuovi veicoli ecologici, per di più dichiarando che avrebbe utilizzato i nove miliardi richiesti solo se strettamente necessario; Chrysler invece ha garantito di utilizzare gli aiuti per ridare stabilità al gruppo e cercare un partner all’estero. Inoltre i rispettivi Ceo hanno dichiarato di essere disposti a lavorare per un anno con lo stipendio simbolico di un dollaro. Le richieste delle Big Three venivano esaudite a metà dicembre: il governo metteva a disposizione subito, sotto forma di prestiti agevolati, tredici miliardi di dollari per GM e Chrysler e altri quattro miliardi entro il mese di febbraio. Solo due giorni prima Chrysler aveva annunciato la chiusura di tutte le sue fabbriche per un mese. I dati di vendita del mese di dicembre confermano il pessimo andamento di tutto il 2008: GM e Ford hanno perso rispettivamente il 31% e il 32% rispetto allo stesso mese del 2007, Chrysler è crollata con un -53%. La flessione mensile è stata del 35% corrispondenti a 896.124 nuove vetture. Scorrendo a consuntivo i dati su base annuale, il numero delle immatricolazioni totali per l’anno 2008 in USA, circa tredici milioni di autovetture, è diminuito del 18,4% rispetto all’anno precedente. Le perdite delle Big Three sono risultate addirittura superiori, ammontando al 22,7% per GM, al 20,5% per Ford e al 30% per Chrysler.

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