giovedì 15 aprile 2021

Dacia Spring, la prova: tutto quello che non c’è non si può rompere


La Dacia Spring arriva come un temporale sul mercato europeo e italiano grazie una caratteristica imbattibile: il prezzo, 19.900 euro di listino. Sfruttando gli ecoincentivi e la rottamazione, costa meno di diecimila euro - 9.460 per la precisione - diventando l'auto a zero emissioni più economica in Italia. Un titolo che fino a qualche tempo fa apparteneva alla "cugina" Renault Twingo per la quale, tuttavia, bisogna mettere in conto almeno 12.950 euro. Anche se i due brand a cui appartengono fanno entrambi parte del Gruppo Renault, le due auto non hanno praticamente nulla in comune: la Twingo è figlia della vecchia joint venture con la tedesca Smart, mentre la Spring viene prodotta dalla Dongfeng - una delle tre principali Case auto cinesi - ma su piattaforma Renault. Questa Dacia, dunque, viene costruita in Cina, dove viene anche venduta con tre brand e nomi diversi con qualche lievissima modifica di carrozzeria. Tornando alla versione italiana (ed europea), siamo di fronte a una citycar a cinque porte lunga 3,73 metri e con un passo di 2,43, che configurano un discreto spazio a bordo per 5 persone e 290 litri per i bagagli. Il motore elettrico ha 44 CV e 125 Nm ed è alimentato da una batteria agli ioni di litio che ha una capacità di 27,4 kWh. L'autonomia media omologata WLTP è di 230 km, che però diventano 305 km in città. Considerate le dimensioni degli accumulatori, le quattordici ore necessarie per il pieno con una presa domestica sono accettabili, ma già con una wallbox da 7,4 kW si scende a cinque ore. In ogni caso, la potenza massima di ricarica non supera i 30 kW, ma considerando che la maggior parte delle colonnine pubbliche italiane è da 22,3 kW, ci si può accontentare. I numeri che invece destano qualche perplessità sono quelli relativi alle prestazioni: a leggere i 19,1 secondi per passare da 0 a 100 km/h e i 125 km/h di velocità massima, sembra di tornare indietro nel tempo, alle utilitarie degli anni Ottanta. Continua su La Stampa

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